I veri vincitori – Il Fatto Quotidiano

Chi ha vinto e chi ha perso la battaglia del Quirinale, presentata fin dall’inizio come “Draghi contro tutti” (o viceversa), lo sa chiunque conservi una memoria superiore alle 48 ore: ha vinto chi non lo voleva e perso chi lo voleva (a cominciare da Draghi). Ma i giornaloni raccontano le più variopinte verità parallele, altrimenti dette fake news, per nascondere la disfatta.

Vince Draghi/1. “Draghi sblocca lo stallo al posto dei partiti e garantisce che rimane a Palazzo Chigi” (Messaggero, 30.1). “Il premier ha chiesto al capo dello Stato di restare per la stabilità” (Corriere, 30.1). “Non è dal Quirinale, ma da Palazzo Chigi che si governa” (Stefano Folli, Repubblica, 30.1). comunque l’uva era acerba.

Vince Draghi/2. “Per fortuna questo stallo l’hanno (sic, ndr) risolto il Parlamento grazie anche al contributo di Draghi” (Luigi Di Maio, M5S, LaPresse, 29.1). “Draghi Enea di Mattarella” (Francesco Merlo, Repubblica, 30.1). “La scelta di Mattarella è stata favorita dalla spinta del premier Draghi” (Luciano Fontana, Corriere della sera, 30.1). Pareva spingesse se stesso, invece spingeva Mattarella di nascosto: a saperlo prima, si risparmiava una settimana.

Vince Draghi/3. “Sarebbe molto ingeneroso collocare Draghi tra gli sconfitti. In primo luogo per la statura dell’uomo” (Folli, Repubblica, 30.1). Un filino più basso e perdeva.

Vince Di Maio/1. “Calma, il sì a Draghi arriverà per inerzia” (Di Maio, Giornale, 26.1). “L’area Di Maio per il premier o la Belloni” (Corriere, 27.1). “La Belloni è mia sorella, profilo alto, non bruciamola” (Di Maio, 28.1). “Quei furboni (Conte e Salvini sulla Belloni, ndr) giocavano sul fatto che io non ne sapessi niente. Ma appena abbiamo capito l’aria che tirava ci siamo sentiti con Guerini e abbiamo bloccato tutto” (Di Maio, Foglio, 29.1). “Di Maio costruiva la candidatura Belloni che Conte ha avallato con un misto di ingenuità e sicumera” (Domani, 30.1). “Ho sempre detto che se si deve andare su un tecnico per me c’è solo Draghi. Se è un politico, si può fare con Casini” (Di Maio, Corriere, 30.1). “Il bis di Mattarella è un successo. Alcune leadership hanno fallito” (Di Maio, 29.1). Ha perso sul piano A, sul B, sul C e sul D, però hanno fallito gli altri.

Vince Di Maio/2. “Belloni e Severino anche Di Maio le apprezza” (Corriere, 28.1). Pensa se gli stavano sul cazzo.

Vince Salvini. “Non accetteremo mai il Mattarella bis” (Matteo Salvini, Lega, 28.1). “Ho detto chiudiamola qua e chiediamo il sacrificio a Mattarella: la mia proposta, nelle ore, è diventata la proposta di tanti” (Salvini, 29.1). Sennò gli altri mica ci pensavano.

Vince Letta/1. “Il Pd deposita ddl che vieta la rielezione del presidente della Repubblica” (Repubblica, 2.12). “Conte disfa ciò che Letta tesse per Draghi” (Foglio, 26.1). “Letta ai suoi gruppi: ‘Casini ipotesi che può aiutarci a stare uniti’” (Stampa, 27.1). “Belloni scelta plausibile e onorevole” (nota del Pd, 27.1). “Lavoriamo a una presidente” (Letta, 28.1). “Mattarella vittoria di tutti” (Letta, 29.1). “Letta ha preso in contropiede il centrodestra diviso” (Federico Geremicca, Stampa, 30.1). “Letta porta a casa il risultato” (Corriere, 30.1). Quale, dei tanti?


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Vince Letta/2. “Ho chiamato Berlusconi per scusarmi: ho usato parole troppo dure” (Letta, Corriere, 30.1). In effetti dare del “divisivo” a un pregiudicato puttaniere finanziatore della mafia è eccessivo. Basta “bricconcello”.

Vince B.. “La zampata del Cav. Berlusconi sul Colle ha fatto un passo indietro, in realtà ha condotto il gioco” (Libero, 30.1). “Alla fine è dovuto intervenire Berlusconi dal San Raffaele per rimettere in carreggiata un’elezione del capo dello Stato” (Augusto Minzolini, Giornale, 30.1). “Il Cavaliere torna al centro della scena” (Mario Ajello, Messaggero, 30.1). Dimostrando che quello da ricovero non è lui.

Vince Brunetta. “Servono sette anni di Draghi al Quirinale per la stabilità” (Renato Brunetta, FI, Agi, 28.9). “Il bis di Mattarella è un successo per la stabilità” (Brunetta, 29.1). Quella della sua poltroncina.

Vince Boschi. “Votare Mattarella mi sembra mancanza di rispetto verso il presidente della Repubblica che ha già fatto sapere la sua opinione” (Maria Elena Boschi, Iv, 27.1). “Lo abbiamo votato convintamente cinque anni fa (sic, ndr) e lo rifaremo oggi: per noi Mattarella è una vittoria” (Boschi, 29.1). Fortuna che la faccia si può perderla una volta sola.

Vince Mastella. “Sto con Casini” (Clemente Mastella, 28.1). “Mattarella è un democristiano della mia corrente” (Mastella, 29.1). Non viceversa.

Vince Sambuca. “Il fronte Salvini-Conte, con l’alleato Meloni, ha riproposto la coalizione gialloverde frutto del voto del 2018: in maniera assai disinvolta, prima ha puntato su Frattini, poi ha mandato al massacro politico la Casellati, e infine ha tentato di sacrificare persino Belloni” (Maurizio Molinari, Repubblica, 30.1). A parte che la Meloni non faceva parte della coalizione gialloverde frutto del voto del 2018, che Conte non ha appoggiato né Frattini né Casellati, che Belloni l’hanno proposta Conte e Letta a Salvini e Meloni, che l’hanno accettata mentre Letta e Di Maio la sabotavano, tutto il resto è vero. Cioè niente.

Ps. Ah, sabato hanno eletto un presidente donna: però in Honduras.

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M5s, lo scontro Di Maio-Conte si allarga al Movimento. Di Stefano: “Basta caccia all’uomo verso Luigi”. Todde: “C’è chi lavora per la sopravvivenza e chi al progetto” – Il Fatto Quotidiano


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Lo scontro aperto da Luigi Di Maio contro Giuseppe Conte, già pochi minuti la rielezione di Sergio Mattarella, si allarga a parlamentari ed esponenti del governo. Con i 5 stelle storicamente più fedeli all’ex capo politico che si schierano a difesa del ministro degli Esteri. A cominciare dal suo sottosegretario, Manlio Di Stefano. “Questa ripugnante […]

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Il Sabato delle Salme – Il Fatto Quotidiano

Se ci fosse il bicchiere, potremmo dire che è mezzo pieno, perché ci siamo risparmiati tutti i peggiori al Quirinale. Ma non è rimasto più nulla, neppure il bicchiere. Non è la “sconfitta della politica” (come cianciano i presunti nemici dell’“antipolitica”), perché alcuni politici hanno provato fino all’ultimo a darci una degna presidente della Repubblica. È la sconfitta degli italiani per mano degli altri politici che han fatto di tutto per impedirlo e, non avendo la forza di realizzare le loro cattive intenzioni, si contentano di bruciare le poche buone e buttare la palla in tribuna imbalsamando il Mattarella bis. Che ora tutti i lanciatori di cappelli spacciano per un proprio successo personale: peccato che non lo volesse nessuno (neppure l’interessato), tranne i gruppi parlamentari 5Stelle (per salvare le poltrone) e il pd Orfini.

Mattarella (bis). Aveva ripetuto in tutte le salse di ritenere la rielezione una sgrammaticatura istituzionale, e lo è (per giunta con un tecnico al governo e un politico nell’unico posto dove non dovrebbe stare: la Consulta). Più sgrammaticato del bis ci sarebbe solo una presidenza a tempo in stile Napolitano per scaldare la poltrona a Draghi: speriamo che almeno quella ce la risparmi.

Draghi. Forte (si fa per dire) dell’appoggio del potere finanziario-editoriale e dei suoi camerieri Letta sr. e jr., Di Maio, Giorgetti&C. (più Salvini, ma solo nei giorni pari), il premier ha provato con ogni mezzo a farsi incoronare presidente di una Repubblica presidenziale, travolgendo regole, prassi e buona creanza, a costo di spappolare la sua maggioranza e i relativi partiti e di esporre il governo e l’Italia alla tempesta. Ma non ce l’ha fatta: i primi sconfitti sono lui e i suoi trombettieri. Se la Casellati non avesse fatto peggio, la sua sarebbe la carica istituzionale più delegittimata. La ubris, nella tragedia greca e nella commedia politica, è un peccato mortale.


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Conte. Oltre a B., non voleva Draghi né gli invotabili Amato, Casini, Cartabia, Casellati, Cassese&C.: e li ha sventati, dando sponda al no di Salvini sul premier (nei giorni dispari). Come piano B, non gli dispiaceva il Mattarella bis invocato a gran voce dai gruppi M5S: e l’ha avuto. Il suo piano A erano tre nomi di livello e non di parte: Riccardi, Belloni e Severino. Ma giocava con due handicap: non poter votare nessuno dei candidati altrui e dover trattare col coltello di Di Maio conficcato nella schiena. Venerdì sera poteva fare strike dopo il vertice con Letta e Salvini, concordi sulla rosa che includeva la Belloni: l’unica candidata che non aveva veti da nessuno, anzi godeva da giorni dei consensi di tutto il centrosinistra e della Meloni, cui si era aggrappato in corsa pure Salvini dopo lo sfracello Casellati.

Un compromesso “alto” e innovativo, gradito anche a Draghi ormai rassegnato a restare premier. Poi non la “crisi della politica”, ma alcuni politici con nome e cognome – Letta, Di Maio, Tajani e Renzi – l’hanno sabotata e affossata per puri interessi di bottega. Gli elettori se ne ricorderanno, si spera.

Salvini. Da quando qualcuno gli ha parlato del kingmaker senza spiegargli cosa sia, è rientrato in modalità Papeete senza mai azzeccarne una. Ha incenerito una dozzina di candidati, fino al capolavoro Casellati. Poi, per coprirne le tracce, ha avuto un lampo di lucidità sulla Belloni. Ma è stato un attimo. Ieri ha detto che il Mattarella bis è il suo trionfo: come no.

Letta jr. C’è chi aveva diversi candidati, chi molti, chi troppi: lui non ne aveva nessuno. Anzi uno – Draghi – ma non poteva dirlo per non sfasciare il Pd e il centrosinistra. Ha chiesto un presidente condiviso tra i due poli, ha dato tre volte il via libera alla Belloni (“scelta onorevole”) finché non s’è concretizzata e lì, quando l’hanno condivisa i due leader del centrodestra e quello del primo partito, l’ha bocciata perché lui voleva Draghi e Renzi, i renziani Pd e B. volevano Casini. Con i mirabili risultati di spaccare la maggioranza e il centrosinistra, apparire un po’ meno responsabile di Salvini e far incazzare Mattarella. Ora dovrà spiegare agli eventuali elettori perché, grazie a lui, l’Italia non ha la sua prima presidente della Repubblica, ma lo stesso di prima.

Meloni. Ha lasciato che Salvini girasse a vuoto fino a rintronarsi e schiantarsi, poi l’ha portato dove voleva lei: sulla Belloni. E s’è pure concessa il lusso di dare del sessista a Letta e di distinguersi dagli altri non votando Mattarella. Con B. al San Raffaele e Salvini al Papeete, si conferma l’unica testa pensante del fu centrodestra.

Renzi. Esistendo ormai solo su tv e giornali, fino a un anno fa era il perfetto Demolition Man: infatti distrusse tre governi (tra cui il suo), il Pd, Iv e se stesso. Ora non riesce più neppure a demolire: la Belloni l’ha affossata il Pd. Ha sponsorizzato fino all’ultimo Casini (che non meritava, poveretto) escludendo il Mattarella bis, e ora finge di averlo voluto lui. Non fiori, ma opere di bene.

Di Maio. È il Renzi dei 5Stelle. Beniamino dei giornaloni (quelli che gli davano del bibitaro), ma non più degli elettori (vedi insulti sui suoi social), ha giocato fin da subito per Draghi (che un anno fa voleva “uccidere in Parlamento”), contribuendo a mandarlo al massacro, contro il suo leader e il suo movimento. Ha incontrato, sentito e promesso voti a tutti, anche a quelli che quattro anni fa non voleva vedere neanche in cartolina. Ha definito “mia sorella” la Belloni, poi ha fatto di tutto per impallinarla. Per molto meno, se fosse ancora il capo dei 5Stelle, si sarebbe già espulso.

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Quirinale, Conte: ‘Di Maio parla di fallimento? Era in cabina di regia, pure lui chiarirà operato e agenda’. E definisce ‘ottimi’ i rapporti col Pd – Il Fatto Quotidiano


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“Era nella cabina di regia M5s, anche lui chiarirà”. E “non a me, ma agli iscritti”. Giuseppe Conte, per rispondere alle accuse pubbliche di Luigi di Maio, ha aspettato che passasse la notte. È quasi l’ora di pranzo di una domenica post elezioni quirinalizie, quando il presidente 5 stelle annuncia che farà alcune dichiarazioni davanti […]

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