Il governo Meloni tira la cinghia, stretta sul deficit oltre le richieste Ue


La prima tappa verso la manovra è stata scritta. O almeno è stata abbozzata, perché di scritto per ora c’è ben poco, così come i dati sono del tutto carenti. Il Consiglio dei ministri ha esaminato e approvato lo schema del Piano strutturale di bilancio di medio termine, delineando un percorso prudente e responsabile, come lo definisce il ministero dell’Economia.

Talmente prudente che praticamente non esiste, ancora. Il Piano strutturale di bilancio dovrebbe essere presentato alla Commissione Ue, secondo le nuove regole del Patto di stabilità, entro il 20 settembre. L’Italia non rispetterà questa scadenza, così come quasi nessun altro Stato membro. Alla fine la scadenza reale sarà quella del 15 ottobre. Per ora, intanto, in Consiglio dei ministri è stato approvato uno schema del Psb, che sarà soggetto a una revisione nei prossimi giorni. Il Piano include anche le riforme e gli investimenti che il governo dovrà mettere in campo per proseguire il percorso intrapreso con il Pnrr, aggiornandolo su alcune tematiche riguardanti la Pa, la giustizia, l’ambiente imprenditoriale e la compliance fiscale.

Piano di bilancio, poche cifre e tanti tagli

Nel Piano è stata inserita la traiettoria di spesa, ritenuta in linea con le aspettative europee. Il rientro sarà su sette anni e non su quattro e il tasso di crescita della spesa netta si attesterà su un valore medio prossimo all’1,5%. La traiettoria viene definita coerente con l’andamento dei principali saldi di finanza pubblica già previsti ad aprile.

Ma resta parziale, perché i dati definitivi si avranno solamente dopo la revisione da parte dell’Istat delle stime annuali dei conti nazionali per gli anni precedenti. Dati che arriveranno il 23 settembre e nella cui attesa il governo congela il Piano, sperando di poter contare su un maggior margine di spesa.

Il Psb verrà trasmesso alle Camere solamente a fine mese. In una nota del Mef, il governo parla di “politica fiscale prudente e responsabile” che passa per “un percorso di rientro dal disavanzo eccessivo realisticamente più ambizioso di quello prefigurato dalla Commissione europea attraverso la traiettoria tecnica”. E qui viene forse l’unico dato un po’ sorprendente a cui fa riferimento l’esecutivo, ovvero l’impegno “a scendere sotto la soglia del 3% del rapporto deficit/Pil già nel 2026”.

Quindi con un taglio del deficit netto, che porti più o meno a un dimezzamento nel giro di tre anni. Un obiettivo che secondo la Cgil offre una sola certezza: “Ci attendono sette anni di austerità, causati da una riforma del Patto di stabilità, sbagliata e controproducente, che il nostro governo ha avallato senza colpo ferire. Non solo, dal comunicato del Mef emerge la volontà di perseguire un rigore di bilancio perfino superiore a quello richiesto dall’Unione europea”, come sottolinea il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari.



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