Il Conte del Grillo

L’editoriale di Marco Travaglio

Il Conte del Grillo

La guerra dei due Giuseppe, oltreché dannosa per i 5Stelle e noiosa per gli altri, è anche inutile. Sarebbe interessante se leader e garante avessero due progetti politici diversi. Ma qui si vede solo quello di Conte: rifondare il M5S dal basso con un’assemblea costituente dopo l’eurobatosta seguita a due buone esperienze di governo (Conte-1 e Conte-2) e a una pessima (Draghi). E rimettere tutto in discussione, dando l’ultima parola a iscritti e non, anche minorenni, anziché ai soliti caminetti. Quello di Grillo qual è? Tra un post e una Pec, nessuno l’ha capito. Cita princìpi irrinunciabili e immodificabili – nome, simbolo e due mandati – che però sono già stati più volte modificati da lui o con lui, quindi sono rinunciabili. Pare (ma questo lo dice la fida Raggi, al terzo mandato ma disponibile al quarto) che non voglia alleanze, ma nella scorsa legislatura avallò quelle con la Lega e col Pd. E meno male, sennò avrebbe buttato nel cesso il 33%. E, nelle elezioni anticipate dopo lo stallo del 2018 o la crisi del Papeete 2019, Salvini avrebbe avuto i pieni poteri. Niente Reddito, dl Dignità, Spazzacorrotti, voto di scambio, taglio di vitalizi e parlamentari, Bonus 110, manette agli evasori e le altre riforme che costituiscono la vera identità dei 5Stelle (non i loghi e le regolette interne). Grillo impose pure l’alleanza con FI, Lega, Iv, Azione e Pd nel governo Draghi e condannò a morte i 5S, anche se poi Conte – chiamato da lui – li resuscitò nel 2022.

Ora non c’è un solo punto di programma che lo divida da Conte. Quindi nessuno capisce cosa voglia, salvo dimostrare che comanda ancora lui: il che, oltre a contraddire l’“uno vale uno”, avviene a colpi di Pec, diffide legali, avvocati e carte bollate da azzeccagarbugli. Una spettacolare inversione di ruoli che trasforma Grillo in un leguleio alla Conte e Conte in un attivista della democrazia partecipata alla Grillo. Eppoi non comandava neppure quando poteva: i 5S li affidò prima a Casaleggio, poi al direttorio a cinque, infine a un leader unico (Di Maio e Conte), perché l’ha sempre detto di non esser fatto per la routine politica. Prende 300 mila euro l’anno per comunicare e non comunica nulla, se non qualche goccia di veleno ogni tanto contro chi lo stipendia. In campagna elettorale non si fa vedere, anzi non va proprio a votare. I parlamentari, se non vanno ai suoi spettacoli, non lo conoscono e lui non conosce loro. Quando condusse la sciagurata trattativa con Draghi, accanto al reggente Crimi e ai capigruppo Crippa e Licheri, presentò quest’ultimo come il generale Costa. E il malcapitato non spiccicò parola per evitargli un’epica figuraccia con il Migliore. A proposito: ma non è che ultimamente Grillo ha risentito Draghi? Così almeno tutto ciò che è insensato acquisterebbe un senso.

 

Sorgente ↣ : Il Conte del Grillo – Il Fatto Quotidiano

 

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