Un biennio tra grigio e nero: a due anni dal voto, perché il consenso di Giorgia Meloni non cala


Un biennio tra il grigio scialbo della gestione del potere e il nero evocativo delle radici mussoliniane. Due anni fa, per la prima volta nella storia repubblicana, le elezioni politiche si tennero che era appena iniziato l’autunno, il 25 settembre. Giorgia Meloni le vinse a capo di una destra grande (FdI più Lega) e di un centro piccolo (Forza Italia) e fece una storica doppietta, per usare il gergo calcistico: prima donna e prima postfascista a Palazzo Chigi.

A distanza di due anni da quella notte di festa per gli eredi di Msi e An radunati da Fratelli d’Italia, la destra meloniana è un fenomeno politico indefinibile per le contraddizioni che porta in pancia. In pratica, Fratelli d’Italia è il nuovo partito pigliatutto dal 30 per cento (sì, l’affaire Boccia-Sangiuliano al momento non ha avuto effetti) che si barcamena tra il populismo originario e identitario e una mediazione continua con le élite di sistema, come dimostra la tormentata vicenda degli extraprofitti.

Insomma, Giorgia, come ama essere chiamata da tutti i patrioti, è uguale a tanti leader diventati premier prima di lei. Nulla di nuovo sotto il sole: accade quando la realtà prende il sopravvento sulla propaganda. Basta ricordare le cronache dell’autunno del Ventidue: Meloni venne descritta come una strana creatura tra una Draghetta mariana devota all’atlantismo e uno hobbit tolkeniano che sconfigge il Male. Non solo. Se proprio vogliamo trovare provvedimenti e cautele esemplari di questo governo, allora sullo sfondo si staglia l’inquietante ombra di Silvio buonanima. Parliamo ovviamente sia di giustizia sia di interessi particolari. Sulla prima, l’ineffabile guardasigilli Carlo Nordio ha realizzato quasi tutti i sogni del berlusconismo d’antan, in attesa di separare le carriere degli odiati magistrati. Dunque: bavagli alla stampa e alle intercettazioni; reati aboliti per l’impunità della Casta e allo stesso tempo reati introdotti sulla base di un securitarismo contro chi non conta, dai migranti a chi protesta in piazza. Attuare, infine, il piano anti-pm dell’ex Cavaliere non è proprio il massimo per chi, come la premier, ha ostentato sempre il distintivo della destra law and order, senza dimenticare le sue periodiche rivendicazioni della militanza da giovane missino di Paolo Borsellino.

Le tv e gli affari della Famiglia Berlusconi, poi. In queste settimane si è molto parlato di Marina B. e delle sue esternazioni politiche di varia natura per piantare paletti e bandierine. A conferma che Forza Italia è un partito che non può venire meno alla sua ragione fondativa: garantire gli interessi berlusconiani, ieri del patriarca oggi dei suoi eredi. Ed è per questo che in due anni la volontà di potenza della premier è stata giocoforza mitigata dai compromessi con gli alleati maschi: Matteo Salvini per la Lega, Antonio Tajani per gli azzurri. Un equilibrio precario però che sinora, almeno nei sondaggi, non hanno scalfito il consenso e il gradimento della premier nonostante il familismo conclamato; la ministra Santanchè imputata per truffa all’Inps; il bellicismo atlantista; la sanità in macerie; il costo della vita ancora più alto; le polemiche sulla classe dirigente di FdI; le reticenze in materia di antifascismo; l’occupazione della Rai spacciata per nuova egemonia culturale.

Il consenso resta dunque il principale punto di forza di Meloni, al culmine di questo biennio. Certo, il partito degli astenuti è ancora il primo e i sondaggi misurano sostanzialmente la tenuta della varie “tifoserie” di appartenenza (più o meno invariate). Ma a differenza degli altri cicli volatili che hanno preceduto la vittoria di FdI del settembre ’22 (il Pd renziano, il M5S dimaiano, la Lega salviniana), proprio questa tenuta comporta due riflessioni.

La prima è che, al momento, Meloni non ha alternative, benché lei stessa sia ossessionata in modo permanente dal complottismo delle Forze oscure del progresso e delle élite. La seconda è che di questo passo, con il campo largo più disunito che mai (per dirla alla Sorrentino), la Sorella d’Italia potrebbe mirare a un altro record: essere la prima presidente del Consiglio a rivincere le elezioni. Sinora non è mai accaduto: i governi uscenti hanno sempre perso al voto, anticipato o no. Ma il 2027 è ancora lontano e in mezzo ci sono vari test importanti (le Regionali di questo autunno e della prossima primavera) e soprattutto la grande incognita del referendum sull’autonomia differenziata. Il pronostico è più che aperto.

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