Carceri minorili mai così piene: in due anni più 50 per cento. E i ragazzi sono inascoltati


È stato presentato stamattina a Roma il dossier dell’associazione Antigone dal titolo “A un anno dal Decreto Caivano”, che fa il punto sulla situazione tragica delle carceri minorili italiane. Un’urgenza che sentivamo con forza, in quanto mai in passato – nonostante la nostra lunga esperienza nel monitoraggio delle condizioni di detenzione – avevamo incontrato una situazione paragonabile a quella attuale. Difficile immaginare come potrà finire questa storia: per adesso non si intravede alcuna via di uscita. Nelle carceri minorili si respira una tensione mai vista prima, data dall’affollamento e dal progressivo irrigidimento del sistema. Da tanti istituti penali per minorenni ci segnalano la chiusura di attività, le difficoltà per i volontari, il ritorno a un modello di detenzione fatto solo di cancelli e sbarre, i trasferimenti forzati.

Mai i ragazzi in carcere sono stati così numerosi. Mai abbiamo trovato i materassi per terra e le celle sovraffollate. Dall’insediamento dell’attuale governo, nell’ottobre 2022, le presenze nelle carceri minorili sono cresciute quasi del 50%, con una netta impennata dopo l’entrata in vigore del decreto. E sarebbero molte di più se non fosse per la pratica, facilitata dal Decreto Caivano, di trasferire i giovani in carceri per adulti al compimento del diciottesimo anno di età (laddove da legge, avendo commesso il reato da minorenni, potrebbero permanere in un istituto minorile fino ai venticinque anni). Mandare un ragazzo “agli adulti”, come si sente dire, significa scegliere di interrompere una relazione educativa e sostanzialmente rovinargli la vita.

Si continua a chiudere in carcere dei minorenni senza alcun progetto educativo, senza alcun piano di accoglienza, senza alcuna possibilità di reintegrazione sociale. Davanti a tutto questo, i ragazzi protestano. In carcere si hanno pochi modi per chiedere di essere ascoltati. Ed essere ascoltati è la cosa più importante per questi giovani. Ma, per tutta risposta, vengono enfatizzati i loro gesti, si parla di loro come di pericolosi criminali che devastano e distruggono, ben oltre quella che emerge dalle nostre rilevazioni come la realtà degli accadimenti. Ci sarebbe invece un gran bisogno di stemperare gli animi. E ci sarebbe bisogno di ascoltare quel che i ragazzi detenuti hanno da dirci e da chiederci.

Nessuno lo ha fatto. Nessuno è entrato in carcere per fare con loro un incontro, un’assemblea, per sentire le loro ragioni. È sempre più evidente che si cavalca l’onda delle proteste – che a breve, sotto il nome improprio di rivolte, verranno punite con pene fino a otto anni di carcere anche nella loro forma di resistenza passiva – per giustificare un modello di carcerazione minorile sempre più simile a quello degli adulti: chiuso, sovraffollato, violento.

Negli istituti penali per minorenni vanno a finire coloro che la società non sa dove collocare altrove, coloro dei quali non vuole occuparsi. Moltissimi sono minori stranieri non accompagnati. E non raccontiamoci bugie: il mandato affidato alle carceri non è certo quello della reintegrazione sociale. Tutt’altro. Alle carceri si chiede di neutralizzarli: teneteveli voi, noi qui fuori non li vogliamo.

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