Certo, un’esibizione non dice granché, da sola. Ma nel caso di Rafa, sì: era già pronto per il grande tennis, a dispetto dell’età. Era veramente un campione di precocità. Di tornei giovanili, però, ne aveva giocati pochi, per cui il suo nome era un po’ come quello delle sorelle Williams, tenute quasi nascoste dal padre fino al professionismo. I francesi lo avevano visto giocare il torneo dei Petits As a Tarbes, nel quale aveva perso contro Richard Gasquet, definito da molti il predestinato, il ragazzo che avrebbe finalmente fatto vincere loro uno Slam dopo il trionfo di Noah a Parigi 1983. Nessuno poteva immaginare che, nel circuito, i due si sarebbero sfidati 18 volte e 18 volte avrebbe vinto sì lo stesso giocatore, ma non Gasquet, lasciando per strada solo quattro set nei primi incroci, e poi manco più quelli. Ma il primo ricordo vero che ho di lui, da giocatore, è legato al torneo di Monte Carlo: essendo il grande appuntamento tennistico più vicino a casa mia e che ho frequentato fin dall’adolescenza, mi capitava di girare per i campi nei primi turni in cerca non solo di glorie ma anche di qualche nome nuovo da segnarmi. Nadal doveva compiere diciassette anni e si era qualificato, battendo Stoliarov ed Eschauer. Credo di essere stato nei pressi dei campi che ospitavano quelle partite ma non ricordo nulla. Invece ho memorie frammentarie del primo incontro del tabellone principale perché aveva sconfitto Karol Kucera, che a tennis giocava benissimo e, pur essendo a fine corsa nella sua carriera, era stato numero sei del mondo. Penso di essermi fermato solo per qualche game del primo set: Kucera giocava piatto e anticipava di rovescio, quel ragazzino spagnolo era tutto un “Vamos!” e un’arrotata di dritto. Il movimento di servizio era piuttosto sbilenco, era mancino ma non serviva bene. Ecco, lo avrete capito: non mi aveva detto granché.
