O’Reilly: “La Commissione ha bisogno di un forte meccanismo di responsabilità”


L’irlandese lascerà presto il suo ruolo di mediatrice dell’Unione europea, dopo oltre un decennio di lavoro. Sotto la sua guida la governance del blocco è diventata più trasparente, ma O’Reilly ritiene che ci sia ancora molto da fare

La Commissione europea deve essere più responsabile, più trasparente riguardo ai poteri che la influenzano e aperta ad ascoltare tutte le parti interessate. Sono alcuni dei concetti espressi dalla mediatrice europea, Emily O’Reilly, nostra ospite in The Global Conversation.

Dopo circa dieci anni sta per lasciare il suo incarico di mediatrice europea, figura che controlla il livello di trasparenza delle istituzioni dell’Unione europea. Ma c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio la scorsa settimana lei ha aperto una nuova inchiesta sulla decisione della Commissione europea di alleggerire in qualche modo alcune regole relative alla Pac, la Politica Agricola Comune, che eroga grossi finanziamenti agli agricoltori. Che spiegazioni si aspetta da Ursula von der Leyen? Mi pare che lei abbia chiesto un incontro.

Analizzeremo i documenti e intervisteremo i funzionari coinvolti. Di base si tratta di alcuni cambiamenti apportati alla Politica Agricola Comune per rendere un po’ meno onerose le misure che gli agricoltori devono adottare per la protezione dell’ambiente. Ricorderete che ci sono state grandi manifestazioni di agricoltori, qui a Bruxelles e in altre città. Dopo le proteste, sono stati apportati questi cambiamenti alla Pac. Le organizzazioni che si occupano di tutela ambientale erano preoccupate perché, in base al reclamo che abbiamo ricevuto, sono state consultate solo le organizzazioni degli agricoltori. Stiamo cercando di capire cosa è successo: come si è arrivati a questi cambiamenti? Chi avete consultato? Che cosa avete preso in considerazione? Una volta ottenute queste risposte, prenderemo una decisione. Stabiliremo se hanno agito in modo corretto o se sia necessario formulare delle raccomandazioni su come agire in futuro. O, semplicemente, gli forniremo una guida generale su come gestire in modo corretto questioni che sono di grande interesse per i cittadini.

Quindi il fulcro della questione è la percezione di una certa iniquità nel trattamento delle diverse parti interessate?

Sì. Nel nostro lavoro quella dell’influenza è una questione ricorrente. Chi influenza i regolamenti e le leggi emanate da Bruxelles? Bruxelles è un enorme centro di lobbismo, il secondo più grande al mondo dopo Washington. Quindi cittadini hanno il diritto di sapere come vengono redatti i regolamenti, chi li influenza. Parte del nostro lavoro, quando riceviamo denunce o apriamo indagini di nostra iniziativa, è quello di assicurarci che la Commissione, o le altre istituzioni, ascoltino tutte le parti e non prendano decisioni influenzate troppo, o in modo inappropriato, da una sola delle parti coinvolte.

Il lobbismo, come lei ha detto, è molto importante. La maggior parte dei lobbisti, però, sono registrati e conosciuti. Meno conosciuti sono i consulenti e gli esperti che vengono invitati in alcune occasioni. In questo caso si parla di un accademico tedesco che potrebbe aver ricevuto 150.000 euro in un periodo di sei mesi per delle consulenze sull’agricoltura. Anche questo contribuisce alla percezione che non ci sia molta trasparenza su chi prende queste decisioni e su chi fornisce queste consulenze.

Sì. Molte persone parlano della Commissione come di un’amministrazione enorme, ma in realtà è piuttosto piccola rispetto alle amministrazioni degli Stati membri. Quindi non dispone di tutte le competenze interne necessarie quando elabora o fornisce consulenze sui regolamenti. Per questo motivo si rivolge a esperti dei diversi settori. Qualche anno fa abbiamo svolto un’indagine su questi gruppi di esperti. Una grande azienda, ad esempio, può pagare molte persone per sapere tutto quello che succede a Bruxelles. Le ong, invece, hanno un budget inferiore, non hanno la stessa capacità di pagare diverse persone per scoprire tutto quello che c’è da sapere. La Commissione ha l’obbligo di assicurarsi che la voce delle ong e della società civile venga ascoltata come quella delle grandi aziende.

Pensa che ci sia un maggiore equilibrio da quando ha cominciato a svolgere il suo incarico?

Penso di sì. Penso che ci sia una maggiore consapevolezza, certamente all’interno della Commissione, sia per il lavoro che abbiamo svolto, sia per il lavoro svolto dai media, sia per il lavoro svolto dalla società civile e da altri. A volte sorgono ancora dei problemi, ma credo che nel complesso, culturalmente, ci sia una maggiore accettazione della necessità di un maggiore equilibrio quando si prendono decisioni su questioni importanti di interesse pubblico. Bisogna ascoltare la voce di tutti.

Uno dei casi più noti riguarda Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e il suo scambio di messaggi con l’amministratore Delegato di Pfizer per un contratto sui vaccini durante la pandemia. Fino a oggi la presidente si è rifiutata di rilasciare quelle informazioni. Lei ritiene che si tratti di cattiva amministrazione. Von der Leyen, però, non sembra ascoltare le critiche e i suggerimenti che riceve. Secondo lei dà valore a queste critiche?

La Corte di Giustizia europea si occuperà di tutto questo. Vedremo cosa succederà. Abbiamo posto una serie di domande e abbiamo riscontrato una cattiva amministrazione, soprattutto perché inizialmente la Commissione non accettava che questi sms fossero considerati dei documenti. Ma non bisogna essere un genio, o un avvocato, per leggere il Regolamento 1049 e capire che si tratta di documenti, perché non è il mezzo che conta. È l’argomento. Tutti i messaggi di testo e le chat di WhatsApp su questioni che hanno a che fare con l’attività delle istituzioni sono documenti. Non significa che debbano essere rilasciati immediatamente. Possono essere verificati in base alle esenzioni che si trovano nel Regolamento 1049. Abbiamo riscontrato una cattiva amministrazione perché inizialmente non accettavano che si trattasse di documenti, cosa a mio avviso evidente. Ho criticato la Commissione, nient’altro. Poi però il New York Times, giornale che si è occupato a fondo di questa vicenda, ha portato la Commissione in tribunale. Non sappiamo quando ci sarà il processo, ma credo che sia un bene per tutti. La più alta corte dell’Unione europea farà chiarezza su questo tema.

Pensa che servirà da lezione? Che Ursula von der Leyen correggerà il suo comportamento in questo senso?

Non so cosa faccia quotidianamente. Sono certa che presti attenzione, ovviamente. Abbiamo discusso con la Commissione e so che ha fornito al suo personale una guida sulla gestione dei messaggi di testo, sul modo in cui devono essere registrati e pubblicati. In generale, credo che la questione sia stata affrontata. Ora tutti sanno che, se usano WhatsApp, Snapchat o qualsiasi altro mezzo di comunicazione per motivi di lavoro, lo fanno nell’ambito della pubblica amministrazione, e che quei messaggi possono diventare pubblici.

Come ha detto, questi messaggi sono documenti. Ritiene che la maggior parte delle lamentele che ricevete riguardi l’accesso ai documenti?

La trasparenza, in generale, è un grosso problema. Circa un quarto o anche più dei reclami che riceviamo riguardano la trasparenza e l’accesso ai documenti. È la questione su cui riceviamo le maggiori pressioni. In generale lavoriamo molto bene con la Commissione, anche per quanto riguarda l’accesso ai documenti. Ma possono esserci forti ritardi. Quando i documenti riguardano questioni politicamente sensibili possono esserci ritardi che vanno oltre quelli consentiti dalla legge. L’anno scorso abbiamo presentato al Parlamento una relazione speciale su questo aspetto. L’ho fatto solo due volte negli ultimi 11 anni, per farvi capire quanto lo ritenga importante. Il Parlamento ha appoggiato in modo schiacciante il nostro lavoro e le nostre raccomandazioni. Vedremo cosa succederà ora con la nuova Commissione e se abbiamo imparato la lezione. A volte si pensa che questioni come la trasparenza e l’accesso ai documenti riguardino solo le ong, la società civile, gli accademici e i difensori civici. Ma sono di importanza vitale, perché i cittadini hanno il diritto, in base ai trattati, di partecipare alla vita dell’Unione europea.

C’è una cultura della segretezza o, semplicemente, la burocrazia rende difficile l’accesso ai documenti?

Penso che la maggior parte delle amministrazioni pubbliche stiano sulla difensiva. Pensano: questo documento può metterci nei guai? Ma la posizione di base sull’accesso ai documenti, fissata da trattati e regolamenti, è quella di renderli pubblici. Non appena si ottiene un documento bisognerebbe pensare a come renderlo pubblico. Di solito invece accade il contrario: come posso impedire che venga pubblicato? La Commissione sostiene di pubblicare migliaia di documenti e di accettare la maggior parte delle richieste. Ma a noi non interessa la maggioranza dei casi. Ci concentriamo sui casi che riguardano questioni di forte interesse pubblico come l’ambiente, la difesa, la sicurezza e le relazioni internazionali.

Torniamo alla Commissione Europea: Ursula von der Leyen è stata rieletta. Ha presentato i 26 candidati per il prossimo esecutivo. Il Parlamento europeo, in una prima fase, esaminerà i loro curriculum e le dichiarazioni finanziarie. Ritiene che il Parlamento abbia strumenti sufficienti per controllare effettivamente se ci sono sospetti di conflitto di interessi?

È una buona domanda. Il Parlamento ha determinati poteri di indagine, ma non gli stessi poteri, per esempio, della Procura europea o dell’Olaf, l’agenzia antifrode. Potrebbero esserci dei problemi per alcuni dei commissari designati, non ne ho idea. La cosa più importante è capire se questo Parlamento svolgerà davvero il suo ruolo di meccanismo di responsabilità per la Commissione, se si assicurerà che la Commissione sia responsabile. Alcuni parlamenti lo fanno molto bene, altri meno. È presto per dire quanto sarà forte questo Parlamento nel suo compito di responsabilizzare la Commissione.

Il Qatargate, lo scandalo sulla corruzione che ha coinvolto i membri del Parlamento europeo alla fine del 2022, è ancora aperto in tribunale. Le nuove regole sono abbastanza forti da impedire ai neoeletti membri del Parlamento Europeo di commettere illeciti?

Le regole sono state inasprite per quanto riguarda, ad esempio, la registrazione delle riunioni. I parlamentari non possono muoversi privatamente e incontrare persone, soprattutto se sono coinvolte in un dossier di cui si occupano. Il problema principale è legato alle conseguenze di un illecito: cosa succede se qualcuno viola una particolare regola e viene scoperto? Lo dico perché sia nella Commissione che in Parlamento – in Parlamento in particolare – vige un sistema di autoregolamentazione. C’è una commissione, in Parlamento, che esamina le presunte violazioni dei vari codici, delle regole e così via. Ma poi riferiscono al Presidente ed è il Presidente che prende la decisione. C’era stata un’iniziativa per far entrare esperti indipendenti in questa  commissione, ma è stata respinta dal Parlamento. Quindi le persone che fanno parte della commissione sono parlamentari. Con questo non voglio certo dire che non siano onesti.

Mi pare che all’epoca lei abbia criticato il fatto che facessero resistenza all’idea che l’Olaf, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode, indagasse sulle loro attività. Pensa che dovrebbero farlo?

Questo è un grosso problema tra l’Olaf e il Parlamento. L’Olaf ritiene che, in base al suo statuto, abbia il diritto di indagare come nel caso di qualsiasi altra istituzione: poter entrare negli uffici, esaminare i computer e così via. Il Parlamento non è d’accordo. Per quanto riguarda il Qatargate, ad esempio, sono stati i servizi di sicurezza del Belgio e di altri  Paesi a fare luce sul caso, non la nostra agenzia antifrode. Il capo dell’Olaf ha sottolineato che il Parlamento dovrebbe garantirgli lo stesso accesso che gli viene garantito dalle altre istituzioni. È una questione ancora aperta.

Forse sarà il suo successore a occuparsene. Un’altra questione importante, durante la transizione dopo le elezioni, riguarda i funzionari, compresi i commissari, che a fine mandato vanno a lavorare per il settore privato. Si tratta del cosiddetto “fenomeno delle porte girevoli”. Le cose andranno diversamente questa volta? Lo chiedo perché ci sono già dei casi: membri della Commissione, del Dipartimento della concorrenza, un direttore della Banca europea per gli investimenti. È solo la punta dell’iceberg?

Credo che la presidente von der Leyen abbia scritto ai commissari uscenti ricordandogli i loro obblighi sul periodo di cooling off e tutto il resto. Resta da vedere se tutto questo sarà monitorato adeguatamente. Una volta terminato un incarico non è facile capire se una persona stia violando codici, regole o protocolli, e come tutto questo debba essere monitorato. Il processo per far cambiare alla Commissione la sua cultura su questo tema è stato molto lento, è servito del tempo per fargli avere una maggiore consapevolezza dei danni che certi casi di “porte girevoli” possono causare.

Il mediatore europeo monitora questo aspetto, così come le agenzie dell’Unione europea, in particolare Frontex. Lei è molto critica nei confronti dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, soprattutto per quanto riguarda il caso del naufragio dell’Adriana. L’anno scorso sono morte più di 500 persone nel Mediterraneo. Cosa bisogna cambiare per quanto riguarda i salvataggi in mare?

Abbiamo esaminato nello specifico Frontex, che è l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, e quindi ci si aspetta che abbia un ruolo nella ricerca e nel salvataggio. Ma ci hanno detto chiaramente che non si occupano di ricerca e salvataggio. Sono lì per monitorare.

Ritiene che questo debba cambiare?

Sì, ma nel corso della nostra indagine abbiamo scoperto che non esiste un’operazione di ricerca e salvataggio proattiva nell’Unione europea.

Dovrebbe essere uno sforzo europeo, come lo è stato in passato, dopo la guerra in Siria?

Esatto. Molte ong che hanno tentato di effettuare queste missioni di salvataggio nel Mediterraneo hanno subito minacce o sono state perseguite. Abbiamo anche scoperto che Frontex, quando c’è un incidente, è sotto il controllo dell’autorità dello Stato membro che dirige l’operazione. Quindi non può agire in modo indipendente. In quattro occasioni in cui c’era un imbarcazione in mare, Frontex ha cercato di contattare le autorità greche per offrire aiuto prima che si rovesciassero. Le Guardia costiera greca non ha risposto. Quando abbiamo messo insieme il quadro, abbiamo detto ai legislatori: questo è il divario tra ciò che i cittadini pensano che si possa fare e ciò che accade effettivamente in base alla legge. Se volete colmare questo divario, potete farlo.

Quindi bisogna cambiare il modo in cui Frontex può operare. Il patto sulla migrazione e l’asilo è un’altra sfida chiave in questo ambito. Solleva questioni non solo di legalità, ma di giustizia, decenza, umanesimo. Ora c’è una politica di esternalizzazione della gestione delle frontiere a Paesi terzi come Tunisia, Egitto, Libano. Quali sono i rischi principali di questa strategia?

Ci sono molte relazioni eccellenti su ciò che sta accadendo in alcuni di questi Paesi. Di recente il quotidiano The Guardian, nel Regno Unito, ha pubblicato un ampio reportage su ciò che sta accadendo ai migranti in Tunisia. Come saprà Bruxelles ha un memorandum d’intesa con la Tunisia, che riceve dei finanziamenti e in cambio impedisce l’attraversamento dei migranti. La Commissione sa di correre dei rischi, perché non può non sapere che ci sono abusi in corso.

Ma è possibile porre rimedio a tutto questo?

Si spera di sì. È una delle questioni che abbiamo esaminato. Abbiamo chiesto alla Commissione se avessero valutato l’impatto sui diritti fondamentali. Non l’hanno fatto. Ma ci sono delle clausole sui diritti umani nei contratti stipulati con gli enti che spendono il denaro in Tunisia.

Quindi si tratta ancora di monitorare.

Sì, esatto. Prima di tutto è molto difficile presentare un reclamo se si ritiene che si siano verificati degli abusi. La questione è se l’Unione europea sia disposta a interrompere il finanziamento o a ritirare il denaro se ritiene che i diritti umani siano stati violati. Quindi capisco quanto sia politicamente difficile. C’è un’Europa che si sta spostando verso destra: la migrazione viene usata come strumento di potere da alcuni gruppi e leader politici.

La nostra intervista volge al termine. Lei svolge questo lavoro da un decennio: qual è la conclusione principale che trae da quest’esperienza e dalle persone che ha incontrato in questo periodo? Se potesse dare un consiglio o un suggerimento al suo successore, quale sarebbe?

Il mio consiglio è di fare ciò che deve fare. Il Mediatore europeo è un ufficio piccolo con un grande mandato. È il cane da guardia dell’intera amministrazione europea. Non è un ufficio piccolo che si occupa di reclami di poco conto. Deve davvero vivere questo ruolo. Ed è quello che ho cercato di fare negli ultimi 11 anni.



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