Caos nella maggioranza sulle imposte alle imprese. Gasparri: “Non sono tasse, sono tecnicalità”.


Prosegue la baraonda in tema di tassazione di alcune aziende. Capitolo che si vorrebbe portasse qualche soldo nell’esangue sacco della legge di bilancio, una manovra che si annuncia improntata all’austerità e ai sacrifici: c’è da riportare il deficit entro i parametri europei, tornati in vigore. Tra le ipotesi circolate in queste settimane c’è stata pure quella di una tassa sugli extraprofitti delle banche e di altre aziende “che non hanno sede in Italia”. In realtà non si capisce niente e la maggioranza di governo è profondamente divisa sul punto.

Venerdì Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato, si è cimentato in una spericolata figura retorica. “È chiaro che noi non aumenteremo mai le tasse. Altro discorso invece potrebbero essere delle ‘tecnicalità’ che potrebbero riguardare banche o, ad esempio, aziende come l’Enel che guadagnano tantissimo”, ha “spiegato”, aggiungendo che “Ci sono delle realtà che, ripeto, guadagnano moltissimo e che potrebbero giocare di sponda con i governi, magari investendo in settori chiave con benefici che potrebbero ripercuotersi sull’intera cittadinanza”. Una specie di contributo volontario lasciato al buon cuore delle grandi aziende, par di capire. Auguri.

Oggi Gasparri è tornato in argomento, ma questa volta nel mirino ci sono le imprese tecnologiche. “A fronte del maxi utile delle big tech l’imposizione fiscale è ridicola, noi non vogliamo nuove tasse – ha aggiunto -, ma vogliamo che chi prende tanti soldi e non paga nulla cominci a farlo: si sta alterando l’equilibrio”. Quello dei colossi del web che spostano i profitti nei paradisi fiscali è questione nota da diversi anni, consola che ora ne sia consapevole anche la maggioranza. Molto difficile però intervenire a livello di singolo paese.

“Continueremo ad essere contrari a qualsiasi tassa, anche alla tassa sugli extra profitti. Decidere cosa è extra e cosa non è extra, forse, forse è da cultura sovietica”, ha puntualizzato oggi il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. “Oltretutto è dannoso e si scoraggiano i mercati, non possiamo mettere paura agli italiani, ha aggiunto, che vogliono investire, e a chi vuole investire in Italia”. Del resto Forza Italia si è sempre opposta ad una tassa sugli super profitti delle banche. Sarà un caso che la famiglia Berlusconi sia anche azionista al 30% di banca Mediolanum. Tajani insiste: “Giorgetti è stato male interpretato nelle parole dell’altro giorno. Non vuole aumentare le tasse, noi siamo fermissimi ma nessuno nel governo vuole aumentare le tasse, né la Lega né Fratelli d’Italia. Mi pare che Giorgetti ha detto una frase che qualcuno ha strumentalizzato”. Poi Tajani si affianca a Gasparri e afferma che “I giganti del web le tasse le devono pagare non possono essere esenti dal pagamento delle tasse. Loro pagano un decimo di quello che pagano le imprese normali, non è giusto”.

“Le tasse si possono sì alzare, ma alle grandi rendite finanziarie e immobiliari e magari decidendo di mettere un contributo di solidarietà sugli extra profitti, sulle grandi multinazionali dell’energia, della farmaceutica, della logistica, dell’economia digitale, delle banche e delle assicurazioni. Lì bisogna chiedere un po’ di sacrifici per sostenere chi è in difficoltà”, rilancia però il leader della Cisl, Luigi Sbarra.

Nel frattempo la revisione al ribasso del Pil 2024 complica ulteriormente le cose. Ma lo stesso Giorgetti tiene la barra dritta: “No”, ha risposto seccamente a chi gli chiedeva se la nuova stime avrebbe cambiato i piani del governo.

Sei euro in più per le pensioni minime – In questo quadro si rimette mano all’eterno cantiere pensioni. Ci sarebbe un tentativo di alzare di 6 euro quelle minime, portandole “sopra i 621 euro” dagli attuali 614 euro. Il governo fa sapere che si potrebbe andare oltre alla rivalutazione rispetto all’inflazione che dovrebbe essere dell’1%, un ulteriore incremento. Ci potrebbe essere in sostanza un nuovo minibonus.

Al contempo si cerca di incentivare a restare al lavoro chi ha già maturato i requisiti per l’accesso alla pensione anticipata. Una possibilità già contemplata con il “bonus Maroni” che consente di avere in busta paga la quota di contributi ma di cui hanno usufruito poche centinaia di persone. Il governo sta studiando il modo di rendere questa possibilità più appetibile tramite esenzione fiscale per questi contributi o riduzione della tassazione. Si potrebbe valutare anche il mantenimento della quota di pensione piena per chi decide di continuare a lavorare pur avendo la possibilità di andare in pensione, considerando per la parte in busta paga una contribuzione figurativa

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