Artoni: “Nel nuovo Patto di stabilità resta un’ossessione insensata per il debito. I tagli del governo faranno ristagnare consumi e pil”


“I modelli utilizzati sono assurdi. E l’ossessione per il calo del debito pubblico confermata dal nuovo Patto di stabilità è da psicanalisti, visto che praticamente tutte le crisi finanziarie sono state originate da scompensi della finanza privata con la parziale eccezione della Grecia”. Roberto Artoni, professore emerito alla Bocconi ed ex commissario Consob, ha scritto i manuali di Scienza delle finanze su cui hanno studiato generazioni di studenti. Conti pubblici, tassazione, equilibrio del sistema pensionistico e sostenibilità del debito sono il suo pane da almeno 50 anni. Nella nuova governance economica europea negoziata per più di un anno da Commissione, governi e Parlamento e approvata in via definitiva in primavera non vede una logica, considerato che in passato rigidi paletti numerici e parametri discutibili come il prodotto potenziale (a cui è appesa la stima del saldo strutturale di bilancio) sono stati del tutto inefficaci nel contenere i rapporti tra debito e pil.

Dietro l’”ossessione” sembra esserci piuttosto, spiega, il portato di un’eredità storica. Quella della Germania, “che ha avuto un controllo rigido della finanza pubblica e buoni tassi di sviluppo puntando sul surplus commerciale e sui buoni rapporti con l’est europeo”. Oggi Berlino è al secondo anno di recessione “ma quella visione mercantilista è rimasta” e con lei i modelli che impongono aggiustamenti di bilancio attraverso riduzioni del disavanzo strutturale. Attuate “schiacciando, in termini reali, la spesa per i servizi“. È quello che è successo in Italia, dove in aggiunta “da 30 anni si segue una politica di smantellamento delle capacità produttive nazionali”, ricorda Artoni. Non solo: “Le privatizzazioni sono state un colpo mortale”. E continuano, con i fondi Usa che spadroneggiano dal credito alle tlc fino al calcio. In più “la precarizzazione del mercato del lavoro e la progressiva terziarizzazione – si chiudono le fabbriche e si aprono bar – contribuiscono alla stasi dei salari, che fa ristagnare i consumi. Ma i consumi sono il 60-70% del pil…”. Risultato: “Tra 2005 e 2023 il tasso di crescita italiano è stato in media dello 0,25% contro l’1,14% della Francia e l’1,24% della Germania. Quanto al pil pro capite, siamo fermi da vent’anni”. In questo quadro tra 2000 e 2019, prima del balzo legato alle misure di risposta al Covid, il debito/pil è cresciuto di 30 punti. Nonostante gli avanzi primari, erosi dagli interessi sul debito stesso.

Il Piano strutturale di bilancio appena approvato dal governo Meloni in base alle regole del nuovo Patto non si discosta dalla linea seguita finora. Il documento prefigura sette anni di tagli da 12 miliardi medi all’anno, che significa “schiacciare ulteriormente i servizi pubblici già in sofferenza”. Già nel 2024 si punta a un avanzo primario già nel 2024 e il deficit dovrebbe calare sotto il 3% del pil nel 2026. Il tutto in vista, nota Artoni, di una crescita reale che dovrebbe oscillare intorno all’1% fino al 2029, come i consumi privati, mentre i consumi pubblici resteranno quasi fermi dopo un rimbalzo nel 2025. L’effetto sul debito/pil? “Praticamente nullo perché nello scenario programmatico scende a fine piano di un solo punto”. Ed è preoccupante il fatto che le simulazioni della Commissione Ue, per ammissione del Tesoro, prevedano esiti diversi: l’aggiustamento, stando ai modelli di Bruxelles, comporterà “un significativo effetto di retroazione sul tasso di crescita del pil, che comprimerebbe il gettito fiscale” mantenendo il deficit e il debito su livelli ben più alti in rapporto al prodotto.

Secondo l’economista la prospettiva va invertita. Per tenere insieme stabilità finanziaria e sviluppo occorrerebbe “risolvere le crisi mondiali e uscire dalla logica bellicista” – vasto programma – per poi “reinventare una politica europea autonoma”. Che significa investimenti produttivi in settori come la transizione verde e digitale (“la parte migliore del rapporto Draghi”) e sostegno alla domanda nazionale. La ricetta per l’Italia? “Fare pressione per il rinnovo di tutti i contratti nazionali di lavoro invece di procedere a colpi di pochi euro di tagli del cuneo fiscale. E intervenire sul piano sociale potenziando i servizi pubblici: sanità, istruzione. Stipendi degli insegnanti, stipendi dei medici che orami fuggono all’estero. L’obiettivo dell’avanzo primario dovrebbe essere subordinato alle potenzialità di sviluppo del sistema”. Lo scenario politico non lascia molto spazio all’ottimismo, tra fughe verso la destra anche estrema e quella che Artoni definisce “morte della socialdemocrazia in Europa”.

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