Dimissioni in bianco, con la destra si torna al passato


Il ddl Lavoro, che sarà approvato oggi alla Camera (poi passerà al Senato), scrive un altro triste capitolo della saga del “non disturbare chi vuole fare”, mantra di questo governo. L’art. 19, infatti, riporta le lancette dell’orologio indietro di oltre un decennio. Era il 2012 quando il governo Monti operò un giro di vite contro l’odioso fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”, ossia il licenziamento mascherato da dimissioni volontarie del dipendente che colpisce soprattutto le donne in maternità.

Un’altra stretta arrivò tre anni dopo con il Jobs Act – l’unica cosa condivisibile di quel provvedimento. Ora il governo mette la retromarcia, stabilendo che se un lavoratore si assenta senza giustificazione per oltre 15 giorni (originariamente erano 5, poi triplicati grazie a un emendamento delle opposizioni) si intende automaticamente dimesso. Proprio così. L’avvocato giuslavorista Bartolo Mancuso, sul sito dell’Associazione Comma 2, ha scritto: “Questa disposizione è stata annunciata dal governo come antidoto contro i ‘furbetti della Naspi’, ovvero lavoratori o lavoratrici che pretenderebbero di essere licenziati dai datori di lavoro appunto per ricevere il sussidio che invece non è previsto – salvo i rigidi casi giusta causa – in caso di dimissioni. Scansafatiche che non hanno voglia di lavorare e vogliono poltrire sul divano pagati dai noi contribuenti. E questo per proteggere le imprese dal dover pagare il ticket previsto in caso di licenziamento. Ecco la storiella: i poveri imprenditori costretti a pagare 1.500 euro ricattati dai soliti fannulloni. Ma questa storia non è solo falsa, di più, è pericolosa, perché non è che una nuova puntata dell’efficace costruzione ideologica della destra che per amicarsi i primi, arma i penultimi contro gli ultimi”.

Mancuso fa l’esempio di un lavoratore che non riceve lo stipendio da mesi, o che lavora in un’azienda che non rispetta le norme sulla sicurezza: se decidesse di alzare la voce e il datore di lavoro lo allontanasse facendogli credere di averlo licenziato, dopo due settimane si ritroverebbe fuori e senza tutele. Non solo. Di recente è assurta alle cronache la storia di una donna di Pisa malata di tumore, assentatasi dal lavoro di cassiera in un supermercato 4 giorni oltre i limiti previsti dal contratto per sottoporsi alla chemioterapia e licenziata malgrado le rassicurazioni del suo capo. Gli ha fatto causa e dopo due anni ha vinto: oltre alla reintegra, per lei i giudici hanno disposto il pagamento di circa 40mila euro di stipendi arretrati più le spese legali. Se tale ddl fosse già stato in vigore, al proprietario sarebbero bastati altri undici giorni per cacciarla senza conseguenze. Incredibile ma vero.



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