Quella “fogna” del Fatto se l’è andata a cercare: il teorema Lenzi e la solidarietà degli altri


Arrivo forse un po’ in ritardo e dopo che molti hanno già affrontato l’argomento sulle pagine cartacee del “verminaio del nulla” cioè il Fatto Quotidiano (ieri Delbecchi in modo mirabile). Ma vorrei aggiungere la mia, spostando il problema dall’aspetto politico o culturale a quello più strettamente comunicativo.

Dunque cominciamo a premettere che se gli insulti di Lenzi fossero stati rivolti a qualsiasi altra testata, anche alla Pravda dei tempi di Breznev, avrebbero incontrato la riprovazione unanime senza appello in quanto attacco inaccettabile alla libertà di pensiero e di stampa e bla bla bla.. Invece trattandosi del Fatto non solo non si è scatenato il bla bla bla ma si è sviluppata una linea di giustificazione, di solidarietà nei confronti del musicista, scrittore, traduttore, cantautore, assessore che si definisce “condannato senza processo”.

In realtà non ha avuto nessuna condanna, è stato spinto dal sindaco a dimettersi come è successo a vari assessori alla Cultura, di recente persino a un ministro, quando si scopre che fanno o dicono stupidaggini.

Ma veniamo ai suoi giustificatori, lasciando da parte i politici per non abbassare troppo il livello del discorso. Restiamo nell’ambito del giornalismo. Qui direi che sono due le linee di giustificazione.

La prima è quella che definirei geografica visto che si concentra sulla collocazione livornese della vicenda, in una città, Livorno appunto, molto sanguigna, dove le cose non si mandano a dire, come dimostra la presenza del Vernacoliere, vero e proprio cavallo di battaglia usato dai giustificazionisti. Peccato che il Vernacoliere non c’entri nulla con le esternazioni di Lenzi, anzi sia l’esatto opposto. Il Vernacoliere fa della satira usando abilmente l’ironia, il paradosso, l’assurdo, la contaminazione dialettale e fa ridere, a crepapelle.

Usare termini come fogna, verminaio, abiezione morale, trogloditi, pezzo di merda non fa ridere e non è satira. Mi ricorda piuttosto quelle liti infantili dei tempi delle mie scuole elementari quando, una volta arrivata al culmine nella scelta dell’insulto, qualcuno, non trovandone uno peggiore, replicava “chi lo dice sa di esserlo, cento volte più di te”. Ecco questo mi sembra il livello, il Vernacoliere è ben altra cosa.

E veniamo alla seconda linea, che definirei andreottiana, in omaggio alla famosa improvvida uscita di Andreotti quando disse a proposito di Ambrosoli e della sua tragica fine che “se l’era andata a cercare”. Ecco nell’intervista a tutta pagine di Repubblica del 13 ottobre serpeggia nella scrittura di Cappellini un atteggiamento simile. Insomma le parole di Lenzi sono un po’ forti, forse anche ingiuriose ma Il Fatto se l’è andate a cercare, se le merita.

Se le merita Canfora. Se le merita Natangelo per le sue strisce “urtanti” (ma non eravamo tutti Charlie Hebdo?) e ovviamente antisemite, visto che oggi l’antisemitismo è come il beige, si porta su tutto. Se le meritano i “trogloditi allevati dal Fatto” e sarebbe interessante sapere chi sono quelli che Lenzi dall’alto della sua cultura considera trogloditi: Padellaro? Spadaro? Barbara Spinelli? Dico dei nomi a caso, oppure Nanni Delbecchi che frequento assiduamente e mi sembra proprio non abbia nulla del troglodita?

Se le meritano i lettori del Fatto, quei malati, affetti da shadenfreude che gioiscono quando viene arrestato qualcuno (mentre le persone sane e perbene gioiscono solo quando ladri, corrotti, mafiosi possono continuare indisturbati nelle loro attività preferite).

Ma c’è una cosa che Lenzi non sa e che i suoi giustificatori dovrebbero dirgli, visto che lui tiene una bottiglia di champagne pronta per brindare quando il Fatto chiuderà. Che al Fatto hanno bottiglie di spumante (lo champagne sarebbe troppo costoso, vista la frequenza dei brindisi) che aprono ogni volta che qualche pirla si abbandona alla solita serie di insulti e malauguri e, chissà come mai, le vendite aumentano…

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