Contratti scaduti e paghe da fame, la sanità privata scoppia


Oggi, 23 settembre 2024, la sanità privata italiana si ferma. Oltre 200mila lavoratori tra infermieri, fisioterapisti e operatori sanitari hanno incrociato le braccia, stanchi di attendere un rinnovo contrattuale che tarda ad arrivare. La mobilitazione, indetta da Cgil, Cisl e Uil, vede presidi in tutto il Paese, da Ancona a Catanzaro, passando per le grandi città come Roma, Milano e Napoli.

Sanità, la disparità che fa male: numeri e cifre di un’ingiustizia

Al centro della protesta, la disparità di trattamento tra i dipendenti del settore pubblico e quelli del privato. Nonostante – dicono le associazioni di categoria – svolgano le medesime mansioni, con pari responsabilità e fatica, questi ultimi percepiscono stipendi significativamente inferiori. Un infermiere del privato guadagna in media 170 euro in meno al mese rispetto a un collega del pubblico. La situazione è ancor più critica per chi opera nelle Rsa, con una differenza salariale che può superare i 350 euro mensili.

Ma non è solo una questione di denaro. I lavoratori del settore privato lamentano anche una carenza di diritti fondamentali come quelli legati alla malattia. Mentre nel pubblico le assenze per malattia sono pienamente retribuite, nel privato – soprattutto nelle Rsa – si assiste a un sistema a scalare che può portare alla totale mancanza di retribuzione.

Dal tavolo delle trattative alle piazze: cronaca di un dialogo fallito

La radice del problema affonda in un passato non troppo lontano. Nel 2012, Aiop e Aris siglarono due accordi che non sono mai stati rinnovati. Dopo un paziente lavoro sindacale tra ottobre 2023 e gennaio 2024 sembrava si fosse giunti a un punto di svolta con l’apertura di tavoli di trattativa per un contratto unico. Tuttavia, le condizioni poste da Aiop e Aris per sedersi al tavolo sono state giudicate inaccettabili dai sindacati.

“Ci è stato risposto che per rinnovare il contratto e scriverne uno unico, con anche la parte normativa adeguata, c’era bisogno che i soldi li mettesse il governo”, dichiara Barbara Francavilla, segretaria della Fp Cgil. Una richiesta che suona come un déjà-vu: la stessa situazione si era verificata la scorsa settimana con lo sciopero dei dipendenti Uneba.

La posta in gioco è alta. I sindacati chiedono a gran voce la revoca dell’accreditamento alle strutture che non rinnovano i contratti o che applicano contratti lesivi della dignità del lavoro. “Queste strutture, destinatarie di appositi finanziamenti pubblici da parte delle singole regioni, stanno continuando a svilire e sottopagare oltre 200mila lavoratrici e lavoratori che ogni giorno si prendono cura di chi ha bisogno di assistenza”, denunciano i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil.

Anche gli Ordini dei Medici hanno annunciato la loro partecipazione a una manifestazione prevista per il 25 settembre al teatro Brancaccio di Roma. “Dal nostro osservatorio registriamo un malessere crescente tra i colleghi”, afferma Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, sottolineando come il disagio sia trasversale alle diverse declinazioni della professione, sia nel pubblico che nel privato.

La situazione attuale mette in luce le profonde contraddizioni di un sistema sanitario sempre più frammentato. Da un lato, abbiamo una sanità pubblica allo sfacelo, con liste d’attesa interminabili e personale ridotto all’osso. Dall’altro, un settore privato che, pur beneficiando di finanziamenti pubblici sembra più interessato a massimizzare i profitti che a garantire condizioni di lavoro dignitose ai propri dipendenti.

È evidente che a guadagnare da questo sfacelo del Sistema Sanitario Nazionale non sono certo i lavoratori, ma i soliti noti: grandi gruppi e imprenditori che vedono nella sanità un’opportunità di business, più che un servizio essenziale per la comunità. Mentre i pazienti si trovano stretti tra l’incudine di un pubblico in affanno e il martello di un privato sempre più costoso sono i lavoratori a pagare il prezzo più alto di una crisi ormai sistemica.



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